Figli contro genitori
“Perche’ i miei figli fanno esattamente il contrario di cio’ che dico?”
Mio figlio fà sempre il contrario di ciò che dico! Fra le varie domande esistenziali di qualsiasi genitore, una delle più ricorrenti è: “perchè i miei figli fanno esattamente il contrario di ciò che dico?” Spesso le richieste dei genitori sono piuttosto sensate:
- preparati la cartella la sera
- fai tutti i compiti
- riordina la stanza
- rispetta gli orari…
Queste semplici regole, che appaiono così basilari, diventa difficile spiegarle e contrattarle tutte le volte. Ogni volta che i bambini non rispettano queste richieste devono subire una serie di conseguenze poco piacevoli: urla, sgridate, punizioni, privazioni e le immancabili prediche (discorsi ricchi di verità assolute della durata di almeno mezzora).
Ma allora… perchè continuare a discutere prima di fare i compiti, ritrovarsi la mattina in ritardo con la cartella vuota e con i giochi distribuiti per tutte le zone calpestabili della casa? Non sarebbe più semplice fare quelle “quattro cose” e vivere serenamente senza urle e minacce? Molti genitori affermano con una certa tristezza: “ci sembra che nostro figli ci sfidi, che provi piacere a vederci arrabbiati”, “le abbiamo provate tutte, con le buone e con le cattive, con le promesse e con le minacce, con le spiegazzioni e con l’autorità. Non funziona nulla. Alla fine lui non rispetta le regole e noi perdiamo la pazienza…”
Allora come fare? Sembra una strada senza via d’uscita. Cerchiamo di capire cosa succede in queste situazioni e perchè si instaurano simili dinamiche. Proviamo a delineare pochi semplici punti:
- Quando un genitore non adotta una strategia educativa consapevole, coerente e costante, ma le “prova tutte”, diventa poco efficace. Per creare un nuovo apprendimento nei bambini (ossia perchè imparino un nuovo comportamento), è necessario essere costanti e ripetitivi. Proviamo a pensare ad un bambino di sei anni a cui dobbiamo insegnare le lettere dell’alfabeto: solo la costanza e la ripetizione gli permettono di impararle. Se ogni volta diciamo cose diverse con atteggiamento diverso, creiamo confusione e il bambino non riuscirà ad impararle.
- I bambini imparano con l’esempio e non con le parole: interiorizzano i comportamenti che vedono e non le prediche che sentono. Quando i figli non rispettano una regola il genitore tende ad avere un atteggiamento “aggressivo”: urla, minacce e a volte qualche scapaccione. Questa reazione viene interiorizzata dal bambino che imparerà immediatamente a reagire nello stesso modo, anche verso il genitore stesso.
- Quando il bambino non rispetta le regole, che per il genitore sono importanti, è il genitore stesso per primo a dare inizio ad un atteggiamento di scontro: il conflitto aperto non insegna ai figli il rispetto delle regole, ma insegna solo l’atteggiamento di sfida. La ripetizione chiara, paziente, ma affettuosa dovrebbe essere la disponibilità di base di ogni messaggio comunicato.
- Capita che nel momento del litigio il genitore non conferma l’amore per il figlio, pure amandolo più della propria vita, si ritrova a dire e fare “delle cose” che esprimono il contrario: sei monello, non sei bravo, è difficile stare con te, non ne posso più… Questa dinamica, anzichè fare in modo che il bambino smetta immediatamente di “comportarsi male”, scatena il meccanismo contrario.
“Ogni volta che mi metto a fare i compiti la mamma mi urla e sembra che non mi voglia più bene. Voglio metterla alla prova perchè ho bisogno che lei mi confermi il suo amore anche quando litighiamo per i compiti”.
Insomma, la “sfida” del bambino non è gratuita e non vuole fare arrabbiare i genitori, ma è un modo per avere una conferma d’amore anche nella situazione difficile. Saper cogliere la differenza tra la riprovazione di un’azione scorretta e la riprovazione o il rifiuto di una persona che ha compiuto l’azione scorretta è fondamentale, per poter utilizzare sempre e soltanto la prima modalità. - Quando il genitore brontola per le solite situazioni, tende a creare delle etichette al bambino: “sei il solito ritardatario”, “sei disordinato”, “sei disattento”… Quando si etichetta con questi aggettivi un bambino, lui inizierà a comportarsi secondo questa definizione: “arrivo in ritardo perchè io sono ritardatario“, “io sono disordinato per cui non posso scrivere meglio”.
Con queste definizioni al bambino arriva il messaggio che lui è fatto così e non può scegliere di migliorare e comportarsi diversamente. L’immagine che il bambino si fà di sé, dipende moltissimo da quello che egli considera l’opinione che il genitore ha di lui.
Povero genitore ma è tutta colpa sua?
- Il genitore non ha nessuna colpa, semmai ha delle responsabilità
- Queste responsabilità permettono al genitore di essere il protagonista delle soluzioni (se il comportamento dei figli dipendesse dalla genetica, non si potrebbe fare nulla per cambiare la situazione. Il fatto che il comportamento del genitore influenza il comportamento dei figli, rende possibile migliorare qualunque situazione).
- Il genitore agisce sempre con le migliori intenzioni possibili e questo lo rende assolutamente privo di qualsiasi colpa. Semplicemente a volte nessuno gli insegnato quali siano le conseguenze di alcune scelte.
- Il compito del genitore è molto ampio e prevede numerosi obiettivi, fra cui quello di insegnare ai propri figli di rispettare alcune regole importanti. Esistono delle strategie efficaci che permettono di raggiungere questo obbiettivo in una relazione di amore, di serenità, di rispetto.
Affinchè i figli imparino, per prima cosa deve imparare il genitore, i figli fanno da specchio e quindi ciò che impara il genitore lo impareranno i figli. Come dire… non si finisce mai di imparare…
Come aiutare un figlio a diventare sicuro, forte e gioioso?
Ciò che serve è sviluppare la capacità di imparare dall’esperienza. Imparare dai propri errori, trasformare la vita quotidiana nella migliore scuola di apprendimenti.
Per farlo è necessario aprirsi al confronto, con altri genitori, con esperti che forniscono informazioni utili a leggere le situazioni. Per imparare dall’esperienza serve essenzialmente la disponibilità ad aprirsi ad un confronto in cui tutti sono sulla linea di partenza. Non esiste una “scuola per genitori” e di conseguenza nessun titolo di studio che qualifichi a svolgere il difficile “mestiere” del genitore, esistono uomini e donne che si sforzano di fare del loro meglio, a volte sbagliando altre no.
Dott.ssa Maria A. Romano